“Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi.” Fin qui la celebre citazione di S. Agostino.
Quando ci siamo arrogati il diritto di definirci “umani” non lo so, ma essendo noi gli unici “esseri pensanti” abitanti in questo mondo siamo gli unici in grado di poterci definire in questo modo.
E nello stesso modo abbiamo definito tutte le parole che dal termine “umano” derivano: umanesimo, umanistico, umanitario, umanità…
Ed è proprio su quest’ultimo che vorrei approfondire il mio pensiero.
Nel dizionario ci sono vari significati per questa parola, ma a me interessa in particolare uno solo di quei significati: “Sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli altri uomini”.
Dov’è finita, mi chiedo allora, la nostra umanità? Siamo ancora capaci di declinare questa parola traducendola in fatti o la sappiamo solo dire a sproposito per affermare che noi sì sappiamo essere umani, a differenza di altri essere viventi che usano solo l’istinto?
Beh, a volte, guardando certi comportamenti animaleschi, nel senso fatti dagli animali, e altri fatti dagli umani, arrivo a vergognarmi di essere umana!
Basterebbe forse non contrapporre due pronomi:
Noi inteso però non come “noi comunità” ma come noi siamo i migliori, i più bravi, i privilegiati… Noi quelli che hanno sicuramente diritto, in nome di cosa non sempre si sa, a questo o a quello.
Loro inteso come gli stranieri, gli ultimi, i derelitti… Loro quelli che non possono avere privilegi e diritti perché, appunto, sono “diversi” da noi.
Diversi da chi poi, non eravamo tutti umani?
Forse se come gli animali riuscissimo a seguire il nostro istinto, la nostra anima, senza troppo pensare alle diversità di cui ci rendiamo a volte giudici, anche se spesso ne siamo incompetenti, torneremmo ad essere umani e degni di vivere in questo mondo.
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Citazione e riferimenti nel testo: da Confessioni di S. Agostino
di Francesca Maculan in dialogo con la redazione NovitàinLettera di Gsm San Giorgio –
Dialogo della nostra redazione con Francesca Maculan, storica volontaria e fondatrice di Dimmitiascolto, il servizio nato nel 2012 come Punto d’Incontro San Giorgio ed oggi divenuto stabile Servizio di Ascolto e counselling, grazie al noto progetto sorto nel 2015 (Progetto DimmiTiAscolto).
Redazione: Dimmitiascolto è ormai noto come uno dei centri di ascolto gestiti nel volontariato sociale nel nostro territorio, da anni, con competenza e costante presenza … Ad esso accedono donne e uomini, anche giovani, provenienti da tutto l’Alto Vicentino …
Maculan: Soltanto 12 anni fa cominciavamo a sentire parlare di “centri di ascolto”, in una zona come la nostra anch’essa colpita dalle crisi delle imprese con conseguente coinvolgimento di operaie e operai in cassa integrazione e delle relative famiglie in forte difficoltà.
R.: E i centri di ascolto?
M.: E qui arriva l’intuizione di alcuni “volontari” di creare un centro di ascolto sensibilizzando e coinvolgendo altre persone in un percorso innanzitutto di formazione con corsi condotti da counselor e psicologi.
R.: E poi che succede?
M.: Succede che la maturazione della consapevolezza delle proprie capacità individuali, pur con i limiti personali, e il costante lavoro di gruppo diventano gli strumenti di elezione per crescere insieme e creare rete.
R.: In che modo?
M.: Beh partendo dal proprio ben-essere personale che non è mai scontato e acquisendo abilità che ci aiutassero o preparassero all’ascolto attento e profondo dell’altro.
R.: Ci sono momenti che ricordi in modo particolare?
M.: Tantissimi, alcuni anche di crisi come quelli durante la pandemia …
R.: Già la pandemia … Ci siamo tutti resi conto che il Covid ha necessariamente attivato anche nuove forme e modalità di relazione … questo ha reso difficile l’ascolto attivo?
M.: Ad un certo punto è arrivato il Covid e sappiamo bene che cosa è stato per tutti. C’era la paura di essere inghiottiti dal vortice di vedere tutto nero e perciò sentirsi fragili, non vedere con chiarezza, non ascoltare, non comprendere. Ma nessuno di noi si è fermato, anzi questo tempo ci ha ampiamente mostrato come siamo tutti interconnessi e come il ben-essere personale passi attraverso il bene e l’attenzione all’altro. L’esperienza acquisita durante la pandemia ci ha permesso di tenere relazioni telefoniche con conoscenti e parenti prestando un’attenzione diversa ma non meno attiva e profonda …
R.: Per esempio?
M.: Se mancava il linguaggio del corpo, perché eravamo on line o al cellulare, l’attenzione andava al tono e al volume della voce, ai silenzi e alle pause che le persone facevano …
R.: Grazie Francesca. Chiudiamo con alcuni tuoi pensieri. Per esempio, prova a dirci alcune cose che pensi di aver imparato o portato a casa da questo lungo percorso che è Dimmitiascolto.
M.: Innanzitutto l’importanza della relazione, perché è indubbio che si cresce insieme nella relazione, favorendo così l’autonomia e la socialità. Ed è bello e edificante restituire agli altri qualcosa di positivo. Tanto più che esiste sempre il rischio di vedere tutto nero, accompagnato dalla paura del vedere nero, quando non si vede con chiarezza il presente e il futuro …
R.: Personalmente che cosa ti sembra sia stato più utile per te stessa?
M.: Beh l’accettazione, il valore del dialogo e l’essere resiliente.
R.: Ossia?
M.: Accettare che non tutto si può comprendere e risolvere, accettare le persone in quanto tali e nelle loro difficoltà. E poi il valore del dialogo, quello attraverso lingue diverse, contenitore flessibile e affidabile in cui si crea spazio per mettere insieme pensieri, emozioni e storie che si è disposti a condividere nel rispetto reciproco mirando al “dare sostegno” e “creare rete di aiuto solidale”.
R.: E la resilienza?
M.: È un approdo possibile e consigliabile per tutti. Occorre lavorarci con costanza. Si tratta di diventare capaci di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà, proprio come la pandemia di cui abbiamo detto. Io preferisco chiamarla “Forza d’animo”.
R.: Ancora grazie Francesca, di tutto …
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Citazione, immagini e testo: da NovitàinLettera n. 204 del 20 aprile 2024 a cura di Gsm Sangiorgio Odv
di Annamaria Sudiero con introduzione di Redazione Dimmitiascolto –
Riuscire a rispondere in qualche modo alla domanda epocale del titolo è qualcosa di grande …
Ci prova Annamaria con il presente pezzo che lei chiama “ragionamento”, pubblicato qualche giorno fa nel blog di Associazione Libellula aps. Annamaria, a sua volta, propone una citazione particolare tratta dal Quaderno proibito di Alba De Céspedes: “Com’è difficile vedere le persone che ci circondano diverse dalle figure che, nei nostri confronti, sono costrette a rappresentare”. A seguire le riflessioni di Annamaria.
Chi siamo? Come vediamo noi stessi e gli altri? Belle domande?
È facile se dobbiamo rispondere con le nostre generalità, ma la domanda che vorrei porre a me stessa, e a chi legge, è un’altra ed è complicato spiegarla.
Provo quindi a ragionare su me stessa in prima persona.
Personalmente negli ultimi anni sto imparando a sentirmi Io Persona, Annamaria, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Ma per molto tempo mi sono sentita in primis figlia, sorella, amica e poi anche moglie e madre. Tutte “figure” che sento di aver portato avanti con passione, generosità e amore ma…
Quanto ho sacrificato del mio essere per farlo?
Nel momento in cui le ho vissute non ho sentito nessun sacrificio, ma se mi guardo indietro forse qualcosa di me ho perso nell’indossare quelle vesti.
O meglio, più che perso, ho soffocato in qualche maniera il mio modo di essere per svolgere quei “ruoli” come gli altri si aspettavano, per non essere giudicata.
Ecco che torna sempre il giudizio, su noi stessi e sugli altri!
Visto che mi piace parlare per immagini provo a farlo anche qui.
Siamo tutti delle magnifiche teche di vetro, che al loro interno contengono preziosi ninnoli, anch’essi di vetro e quindi fragili, che sarebbero poi i nostri ruoli.
Se non stiamo attenti, se non abbiamo cura di noi stessi, cioè di quel magnifico contenitore, finirà per rompersi, distruggendo così anche i preziosi ninnoli al suo interno, i nostri ruoli. Tutti i frammenti di vetro finiranno per confondersi e sarà difficile ricomporre ordinatamente il tutto.
In conclusione, pur assumendo con amore diversi ruoli, siamo in primis Persone e non dobbiamo mai dimenticarlo. Allo stesso modo, quando guardiamo gli altri dovremmo vedere prima le Persone e poi, dopo, il loro ruolo di madri, padri, figli, fratelli, amici…
Dobbiamo allora saperci abbracciare, volerci bene da soli per poter amare e voler bene agli altri e dobbiamo capire che chi ci sta vicino prima di voler bene a noi deve saper essere sé stesso e volersi bene. Molte volte siamo proprio noi che non aiutiamo a farlo, con il nostro egocentrismo e i nostri giudizi e aspettative.
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Citazione: Chi siamo per davvero – dal brano di Marcella Bella
Consideriamo che ognuno di noi si sia trovato spesso a pensare di voler girare pagina, o almeno lo abbia desiderato, salvo poi aver abbandonato l’impresa per una moltitudine di possibili motivi, non ultimo quello di non voler creare ulteriori problemi agli altri e a noi stessi. Insomma, meglio restare nel proprio brodo a bollire. Meglio l’infelicità sicura che rischiare di essere solo un po’ felici.
E allora perché girare pagina? Chi ce lo fa fare?
Forse perché non riesco a dimenticare quella persona di cui mi innamorai tanti anni fa?
Forse perché mi ‘sembra’ di frequentare una persona narcisista?
Forse perché mi sembra di essere usato?
Forse perché credo di non meritare di essere felice?
Forse perché essere felici è un talento, e io credo di non averlo?
Forse perché ho tutte le carte per essere felice e io non lo sono?
I “forse perché” potrebbero continuare a lungo.
E qui viene sempre utile rifarci al passato, al nostro passato. Ecco che riprendiamo dal passato e dai macigni descritti nel precedente pezzo uscito nel blog del 20 febbraio (https://dimmitiascolto.org/2024/02/20/macigni-da-ascoltare/).
Il passato può essere un macigno che ci tiene legati ai ricordi, specialmente a quelli negativi. Le situazioni che abbiamo vissuto, soprattutto quelle che ci hanno fatto stare male, come lutti, sbagli e relazioni finite male, possono impedirci di andare avanti, costringendoci a non vivere il presente.
La sofferenza non dipende dal ricordo in sé, ma dal significato che quel ricordo ha per noi, oggi, nel presente, e per guarire queste ferite è importante rendersi conto che esse dipendono da come ricordiamo le cose accadute.
Guardare al passato può aiutarci a rivalutare certe situazioni, ad imparare ed a crescere dalle esperienze; ma rimanere ancorati ai ricordi negativi genere sofferenza e non permette di vivere a pieno la propria esistenza!
Ed essere felici.
In definitiva non è impossibile scoprire “pagine nuove”, perché è questo che significa “girare pagina”.
Lo vuoi veramente?
Un ascolto attento può aiutarti a farlo. La nostra è una promessa!
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Citazione: n. 62 Immanuel Kant da Critica della ragion pura;
Immagine: ulteriore nuova locandina pro-cartellonistica pubblica anno 2024 a cura di Annamaria Sudiero su un’idea di Davide Sesti;
Ispirazioni e riferimenti nel testo: (I) da Psicologia 361; (II) da Voltare pagina di Ester Viola 2023 ed. Einaudi.
Tutti abbiamo i nostri macigni, piccoli o grandi, da portare, senza i quali, talvolta, abbiamo idea di non riuscire ad andare avanti. Procediamo, con grande sforzo, ma procediamo. Del resto, quei macigni ci pesano ma non siamo così disposti a disfarcene. Fintanto che non diventiamo consapevoli di poterlo fare e, soprattutto, che ci farebbe bene farlo.
Sembra che siamo incollati ai nostri macigni, disfarcene ci obbliga a cambiare punto di vista e stile di vita. A lasciar andare storie, vicende, situazioni, abitudini, …
In ogni caso, con l’aiuto di terzi possiamo uscire dall’ardua impresa, ben evidenziata nell’immagine in evidenza, di compiere una immane fatica.
Ma si tratta di un aiuto che va scelto, cercato, accettato, vissuto, non dato per scontato.
E’ in questo caso che diventa importante parlarne aprendosi a se stessi, in quanto è questo che implica essere ascoltati da qualcuno che si dedica al “buon ascolto”: da una parte aumentare la propria consapevolezza e dall’altra essere accompagnati ad avviarsi verso uno spiraglio di luce che prospetti una liberazione possibile.
“Se tu ne parli, potrà diventare più leggero!”. La nostra è una promessa!
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Citazione: da Psicologia 361
Immagine: nuova locandina pro-cartellonistica pubblica anno 2024 a cura di Annamaria Sudiero
a cura di Dimmitiascolto Servizio di Ascolto e counselling –
2024: anno di ripartenza per Dimmitiascolto-Servizio di Ascolto e counselling, con sempre maggiore entusiasmo.
Ci avviamo verso il 12° anno di attività con alle spalle oltre 1.250 incontri personali e il sostegno, a ben guardare e ricordare, di un centinaio di volontari e professionisti che si sono resi temporaneamente disponibili negli anni. La circostanza, con un ricambio continuo degli operatori, ci ha permesso di non appesantire oltre modo gli operatori stessi e il servizio offerto, e di portare e ricevere costantemente nuova ricchezza di esperienze e competenze da dedicare a chi è nel bisogno.
Dimmitiascolto si occupa di ascoltare le persone, presso diversi centri, offrendo momenti di vero “buon ascolto” fondato su empatia, comprensione, non giudizio e sostegno incondizionato. Oggi, nei contesti più marcati dal disagio lo facciamo gratuitamente e sulla base di una formazione permanente che ci aiuta a essere sempre pronti ad affrontare colloqui in cui vengono portate sofferenze talvolta assai importanti. Pur tuttavia, ove possibile raccogliamo dei contributi a sostegno dell’attività, che non gode di particolari entrate salvo l’autofinanziamento dei volontari. Oggi, questi ultimi dedicano il loro tempo e il loro impegno in particolare all’interno degli empori solidali che rappresentano una nuova modalità di aiuto concreto e concertato nelle nostre realtà urbane. In questi contesti, tralasciando l’area formativa, di supervisione ed organizzativa, gli operatori attivi sono numerosi (17 volontari). Però, l’impegno profuso riguarda anche altri spazi di attività intensa come i percorsi personalizzati di counselling relazionale e attività di gruppo (6 operatori), che vengono svolte a Schio nei locali parrocchiali di Poleo e Sacro Cuore gentilmente concessi.
Un cenno alle altre aree di attività. Ci sono iniziative educative e formative costanti e sempre in aggiornamento di contenuti e modalità (8 operatori), attività di rete con altre realtà del territorio (5 volontari), l’attività di supporto come organizzazione e comunicazione (4 operatori) e l’attività di direzione e coordinamento (5 operatori).
In definitiva, siamo operativi oggi più che mai, in tempi in cui è l’incertezza massima “a fare da padrona”. E vale per tutti.
Siamo presenti a Schio, zona Poleo via Falgare 35 nella sede di San Giorgio presso la Casa del Giovane, gentilmente e appositamente dedicata dalla Parrocchia di Poleo.
Crediamo di ascoltare, ma di fatto, di solito, ascoltiamo solo noi stessi. Si tratta di una trappola cui quasi sempre non ci sottraiamo. Ma c’è una buona notizia: è possibile sfuggire a questa trappola che uccide le relazioni e la nostra personale crescita umana.
Uno noto professionista (1) scrive: Sembra incredibile ma è cosi… Anche io all’inizio non ci credevo. Non sappiamo ascoltare. Crediamo di saperlo fare. Siamo assolutamente convinti di essere dei buoni ascoltatori e non avere sufficienti strumenti per farci capire, per arrivare al cuore e alla mente degli altri ed essere alla fine compresi. Non ci credete? Beh vi propongo un esperimento che vi convincerà al volo.
Pensateci.
Quante volte vi siete sentiti ascoltati veramente? Al 100%? Quante volte avete avuto la sensazione che altre persone avessero chiaro cosa sentivate, intendevate e cosa volevate veramente? Le ragioni delle vostre azioni e il senso profondo che vi motiva? Percepisco già la vostra sofferenza.
Io ricordo 25 anni fa la prima seduta che feci alla Università della California di San Diego con Miriam Polster (2). Ero andato in America per fare un training di psicoterapia della durata di un mese con Erving e Miriam Polster, due tra i più grandi terapeuti che io abbia mai conosciuto.
Lei iniziò ad ascoltarmi e dopo pochi minuti mi misi a piangere a dirotto. Era un pianto misto. Una parte di sofferenza e nove parti di commozione. Nessuno mi aveva mai capito cosi profondamente. Era come se una luce calda e avvolgente entrasse in ogni mia cellula. Una forma di amore che non avevo mai conosciuto prima. Rimasi in quello “stato di grazia” per tre giorni.
Che cosa aveva fatto Miriam? Niente. Mi aveva ascoltato.
Solo che avevo potuto sentire una connessione assoluta tra il mio vissuto e il suo cuore. Aveva usato le chiavi dell’ascolto attivo, la tecnica che permette di superare la trappola naturale che attanaglia il nostro cervello. E di cui siamo ignari.
Forse, l’ascolto vero, il buon ascolto è molto più importante di quanto possa sembrare …
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Citazione e titolo: a cura della Redazione
Immagine: Debate – foto di ariana Anatoneag by Pixabay
Note: (1) Paolo Baiocchi psichiatra e psicoterapeuta, direttore di IGT Trieste – (2) Piscoterapeuti californiami – scrittori e docenti presso UCSD
Sono ormai undici anni che ci occupiamo di ascoltare le persone, presso i nostri centri, offrendo momenti di “vero ascolto” fondato su empatia, comprensione, non giudizio e sostegno incondizionato.
Oggi, nei contesti più marcati dal disagio lo facciamo gratuitamente e sulla base di una formazione permanente che ci aiuta a essere sempre pronti ad affrontare colloqui in cui vengono portate sofferenze talvolta assai importanti.
Dall’inizio siamo coinvolti in oltre 30 volontari/professionisti su questa sfida, e ad oggi siamo una ventina di volontari attivi. Va evidenziato che gli operatori non sono gli stessi dall’inizio, in quanto oltre 100 persone si sono scambiate il “testimone” nel tempo e questo ha permesso la sostenibilità delle iniziative e dei centri di ascolto. I volontari dedicano il loro impegno in particolare all’interno degli empori solidali che rappresentano una nuova modalità di aiuto concreto e concertato nelle nostre realtà urbane. In questi contesti, oggi, gli operatori attivi sono numerosi (17 volontari). Però, l’impegno profuso riguarda anche altri spazi di attività intensa come i percorsi personalizzati di counselling relazionale (6 operatori), le iniziative educative e formative (8 operatori), l’attività di rete con altre realtà del territorio (5 volontari), l’attività di supporto come organizzazione e comunicazione (4 operatori) e l’attività di direzione e coordinamento (5 operatori).
Dopo i primi anni, entusiasmanti ma anche difficili – giacché da un lato ognuno di noi è arrivato da professioni ed esperienze diverse, con competenze e sensibilità distintive, dall’altro la parte di popolazione con sintomi di disagio è sempre più ampia e sempre più difficile da raggiungere – si è pensato di sviluppare il nostro servizio accelerando rispetto all’obiettivo di collaborazione diretta con enti, istituzioni, consultori, associazioni di varia natura e altri centri di ascolto, e focalizzandoci nell’ascolto delle persone nel disagio che mai avrebbero la possibilità di rivolgersi a professionisti, anche in presenza di bonus che favoriscano il sostegno psicologico. D’accordo con la locale Unità socio-sanitaria, si è pensato di metterci a disposizione delle persone che non hanno ancora sviluppato una problematica di soglia media o alta, ma che sono nella fase iniziale della loro difficoltà di vita oppure che abbisognano prioritariamente di cura relazionale. Si tratta di lavorare nella prevenzione e di privilegiare chi è nella solitaria sofferenza o che semplicemente “da solo non ce la fa”. Abbiamo deciso di integrare nel nostro percorso esperienze significative di counselling, innovando decisamente nell’attività di “relazione d’aiuto”. Siamo stati operativi anche nei mesi di “pandemia”, fenomeno che mai avremmo pensato potesse riguardarci. Siamo operativi oggi più che mai, in tempi in cui è l’incertezza massima “a fare da padrona”.
Lo facciamo stando vicino alle persone che ci hanno chiesto e continuano a chiederci un “buon ascolto”, grazie alle moderne tecnologie, che in occasione del Covid-19 si sono palesate, per quanto non sostitutive di autentici incontri tra le persone, vis à vis, decisamente indispensabili ed efficaci.
Lo facciamo cercando di intercettare bisogni alla vecchia maniera, ossia impegnandoci ad esserci in campo, incontrando instancabilmente le “persone”.
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Immagine: Incontrodicounseling by Foto d Tiyo Prasetyo by Pixabay
di Redazione Dimmitiascolto – testo di Pierpaola Re –
Quando una persona si apre a te, fa un passo indietro e diventa presente al suo dolore.
Ascoltala, no, non con le orecchie, ma con gli occhi. Guardala, no, con con gli occhi, ma con le orecchie. Abbracciala, no, non con le braccia, ma con il cuore.
S’imparano un sacco di cose così.
Per esempio che ogni tentativo di giudizio svanisce, che nessun consiglio può arrivare al pensiero e che puoi solo essere lì, lì e basta, con tutto il tuo essere, con tutto il tuo amore che può unirsi al suo dolore.
Con gli occhi sentirai tutta la paura che non ha parole. Con le orecchie vedrai sanguinare quella ferita che non è cutanea. Con il cuore toccherai quella vasta solitudine che due braccia non posssono contenere.
Quando una persona si apre a te, è d’amore che ha bisogno, non di consigli, non di giudizi, solo d’amore ristoratore.
Perché piangi? Perché piangiamo? Sono domande che spesso, anche inconsciamente, rivolgiamo e ci rivolgiamo.
Elisa Mulone espone con interessante chiarezza il significato del piangere e dell’esprimersi attraverso le lacrime.
Si piange per un dolore fisico o per una sofferenza emotiva, per la perdita di una persona cara. Ci sono lacrime di tristezza, di dispiacere, ma anche di rabbia, di frustrazione, addirittura di gioia! E ci sono lacrime trattenute, mai versate.
Quali significati e che funzione possono avere le lacrime?
Il pianto si manifesta in concomitanza alla nascita ed è la prima forma di comunicazione del neonato. Attraverso il pianto e le lacrime, l’essere umano nel suo divenire esprime i suoi bisogni primari: fame, sete, dolore, bisogno di accudimento. Successivamente, esprimerà emozioni e sentimenti più complessi: dolore, rabbia, frustrazione, tristezza, cordoglio, felicità.
Nei bambini, e ancor più nei neonati, le lacrime svolgono una funzione fondamentale che è quella di sollecitare l’attenzione e la cura da parte delle figure di accudimento. Se le esigenze del bambino non vengono soddisfatte, il pianto diventa disperato e manifesta una condizione di stress che a lungo andare può comportare effetti neurologici a medio e lungo termine. Il pianto prolungato nei neonati è stato associato ad un abbassamento delle difese immunitarie, con maggiore suscettibilità alle infezioni. Il pianto prolungato oltre ad avere effetti psicologici a breve e a lungo termine, ha particolari effetti endocrini: si instaura uno stato di forte stress, tale da innalzare i livelli di cortisolo, che influiscono sullo sviluppo dei sistemi di neurotrasmettitori e sullo sviluppo delle connessioni neuronali.
Le lacrime sono state distinte in basali, riflesse ed emotive. Le prime avrebbero la funzione di mantenere costantemente umido l’occhio, le seconde derivano da traumi o sostanze irritanti, le ultime sarebbero correlate con le variazioni degli stati affettivi. In condizioni normali le lacrime basali defluiscono nel naso attraverso particolari condotti, senza lasciare tracce visibili del loro passaggio, ma quando il flusso è particolarmente abbondante le lacrime traboccano all’esterno. Secondo alcuni ricercatori la composizione chimica delle lacrime è diversa a seconda che ci sia un coinvolgimento emotivo o un semplice meccanismo di protezione per l’occhio, ad esempio da freddo o vento o quando sbucciamo una cipolla. Le lacrime emotive conterrebbero livelli più alti di proteine, manganese, potassio e ormoni come prolattina e corticotropina. Attraverso le lacrime il corpo si libererebbe, quindi, di sostanze che, in quantità eccessive, potrebbero risultare dannose.
Per Ippocrate, le lacrime erano prodotte dal cervello e servivano a regolare il flusso e la concentrazione degli umori (sangue, bile gialla, bile nera, flemma) e, quindi, a mantenere l’omeostasi interna. Da qui nasce la concezione del pianto catartico come liberazione e scarica. Darwin sosteneva che le lacrime assolvono, da una parte, a una funzione meccanica, consistente nel raffreddamento dei bulbi oculari surriscaldati da un aumentato afflusso di sangue e, quindi, nella riduzione della tensione interna dell’occhio, dall’altra esercitano una funzione psicosociale contribuendo a richiamare aiuto e conforto da parte degli altri.
Alle lacrime sono state attribuite caratteristiche di sacralità, come nel caso delle varie statue religiose da cui sgorgherebbero liquidi miracolosi. In altri casi, vengono demonizzate, quando, ad esempio, si pronunciano frasi del tipo “Gli uomini non piangono!”, “Non piagnucolare”, dando il senso che piangere sia segno di debolezza o motivo di vergogna.
E che dire della reazione che suscita vedere le lacrime altrui? Di fronte ad un pianto le reazioni possono essere diverse: imbarazzo, compassione, rabbia, tristezza, evitamento. Spesso di fronte al pianto di qualcuno che vive una sofferenza, la prima reazione è quella di dire frasi di circostanza nel vano tentativo di alleviare la pena di chi ci sta di fronte, ma, in realtà, questo serve per lenire il senso di impotenza che percepiamo. Purtroppo, spesso, questo comportamento genera un effetto contrario. La persona non si sente capita nel suo dolore, unico e irripetibile. Nella mia professione, sia durante la mia formazione che nell’esperienza clinica, ho imparato ad accogliere le lacrime come dono prezioso. Le lacrime, infatti, quando riescono a farsi strada, fanno emergere vissuti profondi che cercano solo accoglienza e riconoscimento. Quali parole potrebbero alleviare la sofferenza di una persona che ha appena ricevuto una diagnosi infausta o di qualcuno che ha appena perso una persona cara? In questi casi, come in altri meno drammatici, la cosa più sbagliata da dire è “Non piangere”, perché le lacrime permettono di veicolare emozioni troppo intense e dolorose per essere tradotte in parole. Se blocchiamo le lacrime, teniamo dentro una carica tossica. Ci sarà un momento in cui le lacrime lasceranno il posto alle parole, ma sarà la singola persona, titolare di quel dolore, a sentire quando sarà il momento giusto.
Frequenza e intensità del pianto ci possono dare indicazioni rispetto al fatto che un normale dolore della vita si è cronicizzato fino a diventare un danno che impedisce alla persona di crescere. Un genitore che ha perso un figlio e piange tutti i giorni disperatamente nelle prime settimane dopo l’evento, è una situazione comprensibile; altra cosa è una moglie che dopo 10 anni piange il marito come se fosse il primo giorno. Anche il dolore più grande può essere attraversato se accompagnato.
È importante dare valore e dignità alle lacrime in quanto canale espressivo dell’essere umano e dal potere trasformativo. Ancor più nella società attuale, in cui sembra farsi strada la legge del più forte, come in una giungla in cui bisogna sopravvivere, forse serve trasmettere ai bambini il messaggio che tutti i sentimenti hanno pari dignità di esistere e di essere espressi, che la sensibilità non è segno di debolezza ma di umanità. Solo l’esempio degli adulti può permettere questo.
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Citazione: da fonte testo sotto riportato
Immagine: costruzione by GiFa2023, fusione di People by Pixabay e di poesia Lacrime di Annamaria Sudiero – tratta dal suo libro Respiri dell’anima Gedi 2018
Testo: brano tratto da Perché piangiamo? Funzione e valore delle lacrime di Elisa Mulone psicologa e psicoterapeuta in https://confprofessioni.eu
In questo momento della nostra storia in cui prevalgono grandi preoccupazioni in tanti ambiti della nostra vita pubblica e privata, noi che lavoriamo nelle relazioni d’aiuto abbiamo deciso di dedicare ai lettori, tra tante parole che vengono spese, alcune di quelle che ci possono aiutare ad essere più autentici e a rendere le nostre vite e quelle altrui più leggere e degne di essere vissute.
Stiamone certi, è importante nelle nostre relazioni ripartire dal “buon ascolto”, che rappresenta in ogni caso la forma di aiuto più genuina.
Spesso anziché parlare è meglio tacere, a meno che quanto si dice non sia migliore dello stesso silenzio
Nella recentissima uscita del nostro blog, abbiamo affermato che oltre al buon ascolto è indispensabile anche un buon parlare.
Pare anche questa una cosa ovvia, ma in realtà non è così che funziona.
Guardiamo nel piccolo e nel grande, nel facile e nel complesso, nel locale e nell’internazionale. Ormai tutto passa attraverso le pance di chi partecipa alla discussione. Reale o virtuale che sia. E ognuno si sente in diritto di esprimere quel che lo attraversa (nella pancia) anziché argomentare e contro argomentare mettendo il maggior equilibrio possibile tra razionalità ed emotività. Gli analizzatori, i razionali, gli intellettuali sono relegati a persone da isolare o bandire perché distinguono dalla pancia e non sempre divertono, anzi facilmente annoiano, stufano. Questo è vero, ma laddove prevalgono emotività e anche creatività – spesso – alla fine vincono le spinte peggiori degli umani.
Pensiamo alla pubblicità che presenta sempre di più filmati di alto livello artistico, ove si sfruttano effetti sentimentali ed emozionali, allo scopo di “vendere”, non certo di stimolare dibattito filosofico.
Pensiamo alle propagande, tra le quali periodicamente e frequentamente prevale la propaganda politica, che puntano direttamente alle pance delle persone per far scaturire malesseri e visioni che porterebbero all’aumento del cosiddetto consenso.
Invece, oggi c’è bisogno di ben altre medicine. Per esempio occorre uno nuovo inizio nell’uso delle parole e delle frasi che di parole sono fatte. Con le parole si uccide. Dice una brava (perché autentica) insegnante che le parole che uccidono non lasciano tracce visibili e per questo sono più subdole e dannose, inquinano e imbastardiscono la comunicazione, diventano macigni che possono schiacciare, in un attimo, le vite troppo fragili e indifese.
Esistono, oggi, parole usate ed abusate in una società che consuma tutto e purtroppo si consuma sacrificando per questo i suoi presupposti valoriali di unicità e ricchezza. Il mito della sicurezza e della sfrontatezza dei giovani appare una fragile corazza in un mondo di false e ambigue certezze.
Bisognerebbe riscoprire e insegnare il significato della vita e del suo contrario, riempire le parole di amore, vuotarle dal loro inutile e spesso dannoso conformismo che vuole a tutti i costi emarginare e condannare la diversità come fosse una nota stonata.
Per esempio la morte, magari violenta o auto imposta. La morte non è solo una notizia di cronaca che scuote l’opinione pubblica, è un messaggio inascoltato, un dolore inespresso e per questo più insopportabile, un gesto di estrema rinuncia.
Ricordiamoci che una società che non difende i più deboli è destinata ad una mutazione innaturale, una inversione di rotta che porta inevitabilmente alla perdita delle relazioni e del significato che le sottendono e le parole in questo contesto, possono diventare armi bianche in mano a bambini prepotenti e irresponsabili.
Un buon uso delle parole e delle frasi può aiutare molto.
Infatti, questo avviene se alle parole, queste sconosciute, affidiamo un compito educativo importante insegnando a tutti ed in particolare ai giovani un nuovo tipo di alfabeto, quello che restituisce alle emozioni e ai sentimenti il loro senso più profondo e la implicita relazione di appartenenza.
Citazione: aforisma rielaborato by GiFa su noto proverbio arabo
Con ottobre inizieremo un percorso che ci porterà dal “buon Ascolto”, finora pilastro del nostro blog e delle nostre attività, all’arte del dialogare. Due arti che scopriremo come non possano assolutamente essere separabili.
In pratica, proporremo grazie ai contributi dei nostri redattori richiami al valore del buon ascoltare e nuovi stimoli e nuove riflessioni verso il “buon parlare”. C’è tanto bisogno, oggi, di vero ascolto ma, al contempo, di buon parlare.
Iniziamo il percorso scritto con una composizione assai nota di Irene Whitehill, una poesia che richiama valori fondamentali e realistici ma che riteniamo non siano seguitissimi nella nostra quotidianità.
L’avevamo già pubblicata qualche tempo fa nel pezzo dal titolo “Le regole dell’Ascolto”.
Oggi la riprendiamo, nella versione completa, perché, se la leggiamo con attenzione e con calma, ci possiamo accorgere quale sia il nostro approccio nei confronti altrui.
Da qui ripartiamo.
Questa volta non è un semplice invito, ma è la proposta di un impegno serio.
Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a darmi consigli, non hai fatto ciò che ti ho chiesto.
Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu inizi a dirmi perché non dovrei sentirmi in quel modo, stai calpestando i miei sentimenti.
Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu senti che devi fare qualcosa per risolvere il mio problema, tu mi deludi, per quanto strano possa sembrare.
Quando tu fai qualcosa per me che io posso e ho bisogno di fare per me stessa, tu contribuisci alla mia paura e alla mia debolezza.
Forse pe questo la preghiera funziona per molti.
Perché Dio è muto, non dà consigli, né prova ad aggiustare le cose.
Semplicemente confida che tu ce la faccia da solo.
E allora ti prego di ascoltarmi e di non fare altro che starmi a sentire.
E se vuoi parlare, aspetta un minuto che giunga il tuo turno e sarò io che ti ascolterò.
Citazione, testo e titolo: a cura di Redazione Dimmitiascolto
Immagine: Dialogonondialogotv by GiFa2021
Riferimenti nel testo: poesia “Quando ti chiedo di ascoltarmi” di dott.sa Irene Whitehill – riferimento precedente pezzo del blog “Le regole dell’Ascolto” di Annamaria Sudiero e R. Dimmitiascolto – fonte versione anonima aggiornata da Senti chi s-parla – frasi che feriscono e frasi che aiutano da mini guida progetto Disorder 2022
A volte vorresti dire ciò che davvero senti, ma le parole si fermano nella strozzatura della gola e non riescono a rivelarsi, restano lì nascoste, finché non decidi di dare loro un significato e percepisci che meritano di essere ascoltate, finché carezze che leniscono il dolore sciolgono i nodi della tua angoscia ed in quei momenti molto diventa possibile… forse soltanto allora le tue emozioni profonde si liberano, accolte, viste, soprattutto da te.
A volte hai bisogno soltanto di stare da solo nei luoghi che senti autentici ed appartenerti, dove non vorresti mai andare via ed il ritornarci è un viaggio soprattutto dentro di te, quando il mondo esterno e quello interno sono un tutt’uno e senti che la tua esistenza ha finalmente un senso… poiché negli altri giorni, negli altri momenti forse non sei mai davvero completo, come se parti di te fossero disperse o negli occhi di qualcuno cui sei appartenuto, nei tanti luoghi che ti hanno vissuto.
A volte vorresti andare sopra le nubi, dove tutto è leggerezza e molto è possibile, come rivivere l’intensità di certi momenti, il calore di una presenza, lo sguardo tenero, comprensivo che accoglie ogni cosa di te, l’amore che contiene, l’amore che ti attraversa e cui senti appartenere.
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Citazione: da Percorso la Persona al Centro n. 4 in uscita al 13 settembre 2023
Siamo nella fase avanzata dell’estate e viaggiamo verso un autunno che, purtroppo, si prospetta assai incerto e molto delicato. Nei nostri territori, come nei territori meno vicini. Rimanendo in Italia e nelle nostre zone (Alto vicentino), i problemi di ogni ordine e grado tendono ad espandersi a macchia d’olio. Le persone sono spesso abbandonate a se stesse sia se autosufficienti, sia se in difficoltà o colpite da eventi pesanti e gravi (lutto, salute, relazioni, contesto economico-sociale, normative, solitudini, abbandoni, dipendenze, …).
“Noi” viaggiamo verso gli 11 anni di servizio e proseguiremo con rinnovato vigore nell’accoglienza vera e nell’ascolto autentico di chiunque si rivolga ai nostri centri di ascolto.
Anche a livello comunicativo metteremo maggior attenzione nel coinvolgere, sia promuovendo il “servizio” di aiuto alla persona, sia insistendo con il nostro blog nel palesare uno schema valoriale assolutamente indispensabile.
Lo slogan potrebbe essere: “Dall’essere indifferenti al fare la differenza” (*).
Bene. Riprendiamo filo del discorso ripartendo anche qui, nel blog. Lo facciamo con alcune righe che si possono definire versi augurali (**).
"Affinché la voce non sia eco occorre una vicinanza e la prossimità di un ascolto che tocchi labbra e sguardo e allora vieni, che vicino c'è posto e da lontano invece non ha importanza.Porta con te un po' di tempo da farci star dentro il nostro silenzio che sappia accudire i nostri racconti e non li disperda tra i rumori del mondo.
Anche questi bisognerà prima o poi ascoltarli, ma ora partiamo da qui, che là è meglio arrivarci insieme".
Citazione: redazionale Immagine: San Francisco by Pixabay Riferimenti nel testo: (*) Slogan by Gianni Faccin (**) Tratto da La faretra di Zenone di Angelo Andreotti
Brevissimo componimento segnalatoci dalla cara amica Ivonne Gecchelin.
Ascoltare
è sparire per un po’.
Lasciare le cose al loro posto sulla Terra.
Ascoltare
è permettere ai piccoli tetti di fermare il Sole.
Da un lato il nostro Servizio va avanti, senza soluzione di continuità, ma dall’altro ognuno di noi ha bisogno, ed è anche un desiderio, staccare un po’, prendersi cura di sé, sparire per un po’. Questo non è fuggire , ma è cercarsi e ritrovarsi, fare vuoto intorno e dentro di sè, per riuscire ad ascoltarsi. Prendere una distanza. Mantenendo ferma la fiducia che le cose vanno avanti, si possono lasciare come sono. Le ritroveremo. Per molti è l’estate uno dei momenti che meglio si presentano per questa sacra circostanza. Ecco che ci aiutano in poche parole i versi dell’autrice che oltre che scrittrice e poeta si definisce aforista e coach emozionale.
Una delle esperienze più straordinarie che un essere umano possa conoscere (e riconoscere) è l’incontro profondo con un altro essere umano, quel momento in cui percepisci chiaramente che l’altro sente davvero ciò che provi, in cui ci si sente nudi ma perfettamente accolti e compresi, senza doverci proteggere, mascherare, nasconderci in zone d’ombra.
Solitamente questa situazione si sperimenta nei primissimi giorni di vita, quando un adulto significativo intuisce i nostri bisogni e li soddisfa prima ancora che ce ne possiamo rendere conto… un uomo, una donna che si prendono cura di noi offrendoci calore, cibo, accoglienza, contenimento. Genitori ben sintonizzati sono in grado di capire ciò che sente il figlio, dare un nome a questa emozione e rielaborarla, restituendola depotenziata, accettabile.
Negli incontri amicali ed in particolar modo affettivi il “moment of meeting” diventa un passaggio necessario per una relazione soddisfacente: ciascuna coppia affettiva vive necessariamente momenti di “lontananza” ma anche situazioni di estrema vicinanza, quando l’altro sembra essere me, in me… e ci si sente completamente capiti, anche senza dover dire molto, completamente accolti senza alcuna forma di giudizio, completamente contenuti, come nel grembo materno.
Sono esperienze che soltanto chi ha sperimentato può narrarne la bellezza, la straordinaria energia che ne deriva e l’autentica pace interiore che ne scaturisce.
Lo scrittore Mauro Cason ben descrive il momento dell’incontro umano, il momento speciale, quando due anime si compenetrano.
Lo dedichiamo a tutti, ma in modo particolare al nostro Gruppo di Volontari dell’Ascolto.
Counsellor. Se cerchiamo questa denominazione nel web, pare che il problema principale sia se scriverla con una “l” oppure con due. Sappiamo che nel primo caso è di origine americana, mentre nel secondo caso pesa la pratica britannica. Il vero problema invece riguarda in che cosa si sostanzia il counselling, visto che nel nostro Paese ci fermiamo più facilmente alle apparenze e meno al vero nocciolo della questione.
Il counselling si basa su una relazione tra due persone, counsellor e cliente, che instaurano un rapporto comunicativo in un clima di empatia e non giudizio, in cui vengono favoriti sia l’ascolto attento che la comprensione. È in definitiva l’evoluzione della nostra attività di ascolto.
Il counsellor è un accompagnatore, un facilitatore di crescita personale, adeguatamente formato. Il suo compito è quello di aiutare l’altro a trovare la soluzione al disagio transitorio, attraverso la valorizzazione delle sue potenzialità e della sua autostima.
Il suo intervento è utile sia nell’affiancamento nella gestione personale di un conflitto, sia nel facilitare il dialogo all’interno di un gruppo o di una comunità.
Il counsellor organizza il suo lavoro su un numero limitato di incontri durante i quali si punta a far emergere la capacità di ristrutturare il “malessere”, riconosciuto dal cliente, che con consapevolezza lo elabora mettendo in gioco le proprie risorse, le proprie energie con l’obiettivo di andare oltre il problema.
Un counsellor è efficace se ha lavorato bene, con la necessaria collaborazione del cliente, sulla relazione che è il “focus” dell’incontro.
Da tutto ciò si evidenzia, e questo è il nostro pensiero, come il counselling punti tutto sull’incontro tra le persone, quindi un momento speciale, necessariamente vis à vis, in un setting adeguato e riservato, e in un tempo dedicato che non vada eccessivamente oltre nel numero di sessioni cicliche e i 60-90 minuti riservabili per sessione. Solo eccezionalmente, con limitate modalità, può esercitarsi un intervento di counselling a distanza, telefonico – scritto – online. In ciascuna di queste eventualità il “momento d’incontro” si adatterà inevitabilmente alla situazione specifica, ridefinendo metodi e finalità dell’intervento.
Esistono nel mondo varie scuole di counselling, a matrice filosofica o psicologica, a mediazione corporea o artistica, ad ispirazione spirituale o sociale.
La nostra esperienza parte dal counselling così come proposto nella visione dell’umanista Carl Rogers: “… quando una persona si trova in difficoltà, o vuole semplicemente ‘crescere’, il miglior modo di offrirle aiuto non è quello di dirle che cosa fare, quanto invece aiutarla a comprendere la sua situazione e a capire come gestire il problema del momento “.
Il counselling è assai utile in molti contesti, per esempio in ambito socioeducativo, negli universi della coppia, della famiglia e delle organizzazioni.
Negli ultimi giorni mi è capitato di riflettere sull’ascolto.
Personalmente, è stata la prima tecnica di comunicazione che ho imparato; E più passava il tempo, più pensavo fosse quella più semplice e banale… In seguito, però, mi sono accorto che non è proprio così…
Forse dal punto di vista didattico è così, ma nella vita di tutti i giorni, l’ascolto non è sempre così facile, e tantomeno banale.
L’ascolto resta spesso una competenza atrofica. Nelle situazioni di conflitto, poi, l’ascolto è il grande assente!
Praticamente, non c’è pasticcio relazionale che non sia causato, almeno in parte, dalla mancanza di ascolto: non è un caso che nel disagio relazionale quasi sempre ci sentiamo incompresi. Non c’è relazione che fallisca che non sia causata da una serie, spesso infinita, di incomprensioni reciproche.
Ma perché l’ascolto è così importante?
Per lo meno per due motivi.
Il primo è che se non ascoltiamo, non possiamo conoscere esattamente la realtà soggettiva dell’altro. Di conseguenza la nostra risposta non sarà precisa e adeguata.
Il secondo è che se non ascoltiamo, creiamo disagio nell’altro. Di conseguenza, se c’è un problema, quel problema si amplifica. E questo secondo motivo spiega tutto il dolore e la sofferenza che la mancanza di ascolto genera.
Quando ci rivolgiamo a qualcuno, desideriamo essere ascoltati, che significa essere “com-presi” dall’altro. Se non siamo compresi non ci sentiamo neppure considerati, e questo è fonte – spesso – di grande dolore.
È curioso come tutti, in realtà, conoscano il disagio dell’incomprensione, e così pochi si ricordino, quando c’è problema con qualcuno, di restare in ascolto.
Le competenze relazionali sono molte, e qualcuna pure complessa e articolata; ma non c’è competenza relazionale che non comporti l’abilità dell’ascolto alla sua base.
Per cui, se già ci ricordassimo di questa capacità, la maggior parte delle problematiche non arriverebbe a minacciare la relazione, ma soprattutto molta sofferenza sarebbe risparmiata.
Ripartiamo dall’Ascolto! Quello autentico … quello profondo …
Ascoltare … è sapersi fermare e sapersi far pervadere dall’oggetto del nostro ascolto diventando uno con esso, che sia al nostro interno o al nostro esterno.
Per ascoltare in modo nuovo, è necessario rimuovere le percezioni erronee che si hanno su sé stessi e sugli altri: in questo modo si trasforma anche il modo di parlare, e la parola diventa strumento di felicità anziché portatrice di sofferenza.
All’ascolto profondo ci si avvicina tramite la condivisione, tanta condivisione …
Quindi condividere è il tramite. E già questo non è così scontato. Condividere significa dividere con … spartire con altri … Solo l’uso della parola è esagerato, la pratica assai meno. E questa parola, abusatissima, rappresenta invece un valore importante.
Lo è perché solo condividendo è possibile far scoprire e conoscere nuove idee, soluzioni, strategie, risorse con le quali migliorare le nostre capacità e quelle del mondo che ci circonda. Condividere è utile perchè prima di tutto serve a cambiare le cose.
Ma non fa parte dell’amare veramente questo atteggiamento?
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Citazione e riferimenti nel testo: dal libro Ora ti ascolto … e po? di Gianni Faccin – Gedi 2022
Ci puoi contattare telefonando al 333 40 12 669 per colloqui online e per fissare un appuntamento oppure scrivendo direttamente via social o via e-mail agli indirizzi sotto riportati.
Sedi utili per incontri da concordare si trovano a:
Schio – sotto chiesa del S. Cuore via P. Maraschin, 79 – sala n. 8;
Schio – Casa del Giovane presso la sede dell’associazione di Gsm San Giorgio Odv via Falgare, 35 – sala segreteria e sala riunioni don Antonino Villanova al primo piano;
Schio – Ex scuole Marconi via G. Marconi – presso Emporio Solidale Il Cedro sala dedicata al piano terra;
Thiene – Casa delle Associazioni sede associazione culturale Dea Mundi-Gsm San Giorgio Odv via Primo Maggio, 15 – sala 18 al secondo piano;
Dueville – Passo di Riva via Adige, 59 – presso Emporio Solidale Dueville sala dedicata primo piano.
• di incontro e dialogo, in cui trovare autentico ascolto e quindi un punto di riferimento nei momenti difficili;
• in cui ricevere un orientamento al lavoro, allo studio, al volontariato, alla socializzazione e alla progettualità sociale;
• in cui trovare sostegno di fronte alle difficoltà della vita;
• in cui affrontare sé stessi di fronte ai temi esistenziali e allenarsi all’autoaiuto.
“Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo, per aiutarlo a intraprendere un percorso con occhi nuovi, perché quando si cambia il modo di osservare le cose, le cose che si osservano cambiano”.
Innanzitutto, dal 2023 viene finalmente valorizzato appieno il “servizio” che da alcuni anni si svolge sia in presenza sia online. Inoltre, l’offerta è integrata anche con sessioni di counselling relazionale e, di recente, organizzativo.
La nostra attività, che si basa sull’esperienza pluriennale dello storico Punto d’Incontro San Giorgio (2012), facente parte “progetto DIMMItiASCOLTO” (2015), si prefigge di incontrare le persone per permettere loro, attraverso l’ascolto e attraverso le modalità di counselling, di analizzare e ripensare la «propria visione personale» affinché siano in condizione, condividendo pensieri, emozioni ed esperienze, di superare le proprie difficoltà. Il servizio è gratuito.
Siamo utili alla collettività, ai gruppi, alle coppie, in particolare ai singoli cittadini, over 18. In pratica alle persone nel disagio che hanno difficoltà a chiedere aiuto in quanto sfiduciate e disorientate. Siamo utili a quanti si trovano di fronte a difficili scelte di vita e alle persone che si sentono sole.
Siamo utili anche a quanti non sono a conoscenza della realtà di aiuto del territorio e a coloro che hanno ostacoli di varia natura, per esempio di tipo sociale, relazionale ed economico. Siamo utili alle organizzazioni che intendono offrire efficacemente servizi con il ricorso, spesso prevalente, al “volontariato”.
Da tutto ciò, nasce il nostro invito: se ti senti solo, oppure i problemi e le difficoltà sono amplificati dall’isolamento forzato, o magari l’ansia e la paura ti impediscono di trascorrere bene le tue giornate chiama il numero 333 4012669, oppure invia un messaggio. Ti verrà fissato un appuntamento per una videochiamata con Skype, WhatsApp, Google Meet o altra piattaforma, o se possibile per un incontro.
In ogni caso potrai parlare con un operatore qualificato e formato nelle relazioni d’aiuto.
E’ l’anno dell’Ascolto, perché, oggi più di ieri, ce n’è tanto bisogno e occorre allargare la possibilità per le persone di potervi accedere, e per di più gratuitamente.
Nelle prossime settimane ripercorreremo il nostro viaggio decennale e le prospettive d’impegno.
Con oggi, 14 febbraio 2023, inizia una nuova stagione per la nostra attività.
Come preannunciato in diverse sedi e occasioni, finisce la parte progettuale, viaggio che ci ha visti in movimento per dieci anni, con diversi cicli di sviluppo sia interno che esterno. Internamente per il continuo lavoro su di sé da parte dei volontari che hanno cercato costantemente di migliorarsi con grande generosità e con autentica motivazione. Esternamente per le particolari attenzioni riservate all’Ascolto e alla Cura da riservare a chiunque chiedesse aiuto e anche a chiunque chiedesse o ricercasse collaborazione (singole persone ed associazioni o enti). Insomma per il dialogo continuo e proficuo con importanti parti della Comunità.
Finisce il “progetto” ma si consolida il “servizio” e quindi la nostra attività assume una nuova denominazione (e lo stesso avviene anche per il presente blog, come si può notare): Dimmitiascolto – Servizio di Ascolto e counselling.
Si dà inizio anche ad un nuovo approccio associativo, non più esclusivo ma aperto: l’attività rimane in capo allo storico Gsm San Giorgio Odv, che ne mantiene la piena responsabilità progettuale e legale; ma la consulenza, il sostegno culturale, formativo e la conduzione didattica saranno integrate anche da altri enti. Per esempio grazie alla nuova e recente collaborazione con l’Associazione Libellula aps di Schio.
E’ l’anno dell’Ascolto, perché, oggi più di ieri, ce n’è tanto bisogno e occorre allargare la possibilità per le persone di potervi accedere, e gratuitamente come finora avvenuto.
Inoltre, possiamo essere più audaci nel proporre pubblicamente di scegliere il “buon ascolto” come stile di vita.
Nelle settimane avvenire ripercorreremo il nostro viaggio decennale e le prospettive d’impegno, entrando nei dettagli del “servizio”, ma anche iniziando a fornire contenuti di approfondimento, stimolo e di riflessione.
Sarà questo blog (con i social collegati) a restare punto dinamico di riferimento a livello comunicativo.
Contiamo possa essere per molte persone anche uno spazio iniziale di confronto. Anche questo è “ascolto”.